Come ormai ben sappiamo, Covid-19 è una malattia infettiva respiratoria causata dal virus SARS-CoV-2 appartenente alla famiglia dei coronavirus. Questa malattia è causa della pandemia in corso che ha provocato la morte di quasi tre milioni di persone.
Ad oggi, esistono circa 24 trattamenti farmacologici di cui la maggior parte è ancora nelle prime fasi di ricerca.
L’opzione che i medici tengono in considerazione, come trattamento aggiuntivo per i pazienti gravi, è la somministrazione passiva di anticorpi tramite trasfusione di plasma da convalescenti. Ciò consente di sfruttare l’immunità sviluppata dai pazienti guariti per evitare un peggioramento delle condizioni del paziente e, quindi, il suo ricovero in terapia intensiva.
Sebbene siano stati riportati dei risultati promettenti, non è stata documentata nessuna efficacia clinica significativa nei pazienti trattati. Questo “non risultato” è dato dal fatto che è impossibile capire se il paziente superi la malattia spontaneamente o grazie agli anticorpi somministrati.
È quindi evidente la necessità e l’urgenza di trovare trattamenti specifici ed efficaci per Covid-19.
Grazie ad uno studio internazionale, oggi si apre uno spiraglio di luce sulla cruda realtà che stiamo vivendo.
I vaccini sono l’unica speranza che abbiamo per sconfiggere SARS-CoV-2?
Sicuramente la campagna vaccinale sta aiutando moltissimo la situazione attuale e, come esempio, possiamo prendere Israele. Infatti, ad oggi più del 51% della popolazione di questo paese ha ricevuto sia la prima che la seconda dose del vaccino e questo ha permesso agli israeliani di riprendere una vita ‘normale’.
Inoltre, un recente studio ha confermato la capacità dei vaccini ad mRNA di bloccare l’infezione! Questo significa che chi si vaccina non viene contagiato e, di conseguenza, chi non è infetto non può contagiare. Direi un ottimo traguardo!
Ma per i pazienti malati c’è ancora speranza? Ebbene sì.
Uno studio internazionale ha scoperto un farmaco che intrappola SARS-CoV-2 nella cellula infetta. Cosa significa? Semplicemente che il virus, una volta entrato nella cellula, non è più in grado di uscire e, quindi, di espandersi e diffondersi in tutti i tessuti dell’organismo. Questo farmaco si chiama Indolo-3-Carbinolo (I3C) e non è per niente nuovo alla clinica, in quanto già utilizzato per il trattamento di rare patologie.
Come funziona I3C?
Questo farmaco ha un’azione inibitoria e, come precedentemente accennato, blocca il virus all’interno della cellula.
Ma come fa ad intrappolare SARS-CoV-2?
Lo studio è partito da una classe di enzimi, ovvero le HECT-E3 ligasi (enzimi sfruttati dal virus per replicarsi e propagarsi all’interno dell’organismo). Diversi studi, hanno dimostrato che l’attività delle HECT-E3 ligasi è implicata nella fase di uscita dei virus a RNA dalla cellula infetta. In particolare, un sottogruppo di questi enzimi presenta una sequenza in aminoacidi specifica da facilitarne la diffusione.
Ed è qui che entra in gioco I3C! Come? inibendo la formazione di vescicole che i virus utilizzano per spostarsi di cellula in cellula.
Dunque, sapendo che SARS-CoV-2 è un virus a RNA, un gruppo di ricercatori ha studiato il coinvolgimento di questi enzimi in pazienti affetti da Covid-19.
Per capire se I3C fosse un farmaco efficiente contro SARS-CoV-2, quali esperimenti sono stati effettuati in laboratorio?
In primis, hanno voluto esplorare come le HECT-E3 ligasi interagissero con la proteina Spike di SARS-CoV-2 (proteina che il virus utilizza per entrare nelle nostre cellule). La scoperta interessante è stata quella di notare che la proteina Spike interagiva non con uno specifico membro della famiglia, bensì con più membri delle HECT-E3 ligasi.
Confermata l’ipotesi precedente, hanno analizzato i livelli dei geni codificanti queste proteine in pazienti affetti da Covid-19 con sintomi respiratori gravi e in pazienti negativi per SARS-CoV-2 dimostrando una sovraespressione nei tamponi nasofaringei e orofaringei di pazienti positivi al COVID-19 rispetto ai pazienti negativi.
Inoltre, hanno identificato quali tra i membri appartenenti alle HECT-E3 ligasi possedevano un’espressione maggiore (i geni identificati sono NEDD4 e WWP1).
Hanno successivamente valutato l’espressione, a livello proteico, di NEDD4 e WWP1 su modelli di topo Covid-19, confermando l’iperespressione di questi enzimi.
Successivamente hanno ipotizzato l’esistenza di varianti alleliche di questi specifici enzimi.
Perché si sono posti questa domanda? Perché se l’infezione da SARS-CoV-2 porta ad un’espressione elevata di specifici geni della famiglia delle HECT-E3 ligasi, molto probabilmente esistono varianti di questi geni che potrebbero dettare l’esito e la storia naturale della malattia.
Per testare questa ipotesi hanno raccolto:
- Una coorte di pazienti con sindrome da malattia respiratoria acuta (ARDS) o che richiedono la ventilazione invasiva, ma non malati di Covid-19: in questo gruppo di pazienti sono state identificate, nella linea germinale, varianti delle HECT-E3 ligasi.
- Una coorte di pazienti critici Covid-19 e a una coorte di pazienti con infezione da SARS-CoV-2 asintomatica: ciò ha permesso di individuare in almeno due casi critici tre varianti deleterie nei geni NEDD4 e WWP1. Le varianti di NEDD4 sono in grado di legarsi più avidamente con la proteina Spike di SARS-CoV-2 rispetto alla proteina wild type (ovvero l’enzima codificato dal gene “originale”, non mutato).
Gli esperimenti con I3C
A questo punto, hanno testato I3C in modelli cellulari inducendo l’infezione con SARS-CoV-2.
Il gruppo di ricerca ha indotto l’infezione a diversi tempi: dopo 1h, 24h e 48h. Dopodiché, hanno aggiunto diverse concentrazioni di I3C e, dopo 72h, valutato l’effetto citopatico (insieme di cambiamenti morfologico-strutturali che una cellula infetta da virus può assumere).
Da questo studio è emerso che l’I3C, ad una determinata concentrazione, ha ridotto di circa il 60% l’effetto citopatico indotto da SARS-CoV-2. Inoltre, hanno poi misurato la quantità di SARS-CoV-2 rilasciata dalle cellule infette trattate con l’I3C e i risultati hanno dimostrato che, a tutte le concentrazioni, si ha una riduzione significativa del virus.
Per confermare ulteriormente la potenziale efficacia di I3C, hanno effettuato un esperimento di immunofluorescenza evidenziando una particolare proteina di SARS-CoV-2. Le cellule trattate con I3C, rispetto alle cellule non trattate con il farmaco, mostravano una fluorescenza legata all’espressione della proteina di SARS-CoV-2 minore.
Ancora una volta questo risultato indica che l’I3C è efficace nell’inibire l’espandersi di SARS-CoV-2.
Conclusione
Dati gli ottimi risultati ottenuti, si può affermare che l’I3C è efficace nel ridurre la replicazione di SARS-CoV-2 in vitro. Questo risultato positivo porta alla valutazione immediata della sua efficacia negli studi clinici. Perché? Perché, come anticipato, l’I3C è un farmaco già in uso ed infatti si sa già essere ben tollerato sia nei modelli animali che negli studi di fase I nell’uomo. Di conseguenza è concepibile una rapida approvazione per testare, negli studi clinici di fase II nell’uomo, la sua capacità di prevenire la gravità clinica del Covid-19.
Ci resta solo da incrociare le dita!
Fonti
Mark G. Thompson; Jefferey L. Burgess; Allison L. Naleway et al. Interim Estimates of Vaccine Effectiveness of BNT162b2 and mRNA-1273 COVID-19 Vaccines in Preventing SARS-CoV-2 Infection Among Health Care Personnel, First Responders, and Other Essential and Frontline Workers — Eight U.S. Locations, December 2020–March 2021. (2021).
Novelli, G., Liu,J., Biancolella, M. et al. Inhibition of HECT E3 ligases as potential therapy for COVID-19. (2021).
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