Ormai abbiamo capito che il 2020 passerà alla storia come l’anno delle sventure. Una tra le tante riguarda lo sbiancamento massivo subito dalla Grande Barriera Corallina cominciato tra lo scorso febbraio e marzo.
Per la verità si tratta del terzo evento negli ultimi cinque anni: gli altri due sono stati nel 2016 e 2017.
Vi presento la Grande Barriera Corallina:
La Grande Barriera Corallina, o Great Barrier Reef, si trova sulla costa nord-est dell’Australia e copre un’area di 344,400 km2.
Venne scoperta nel 1770 dal britannico James Cook a cui era stato affidato il compito di esplorare l’emisfero meridionale.
Nel 1981, la Grande Barriera Corallina, è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco, essendo la più grande esistente nonché uno degli ecosistemi più complessi sulla terra.
Cos’è un corallo?

Per capire cos’è il fenomeno dello sbiancamento (o bleaching) bisogna prima fare un passo indietro e definire cos’è un corallo.
Facciamo ordine: tutti gli organismi che definiamo coralli appartengono al Phylum degli Cnidaria che, tanto per capirci, è lo stesso delle meduse. Frequentemente troviamo madreporari (Anthozoa, Hexacorallia) anche se si possono riconoscere coralli appartenenti ad altri taxa.
La parte vivente del corallo sono i polipi (attenzione a non chiamarli polpi, che sono molluschi e sono si mangiano in insalata!). Più polipi sono alloggiati nello stesso scheletro calcareo e gli zoologi non sono ancora arrivati ad un accordo: possiamo definire il corallo come un unico individuo o come colonia?
La caratteristica colorazione dei coralli, invece, viene dalle Zoozanthellae (o zooxanthelle). Si tratta di alghe unicellulari fotosintetiche che vivono in simbiosi con i polipi. In cambio di riparo e del continuo approvvigionamento di anidride carbonica, queste microalghe forniscono al corallo il 90% dell’energia metabolica di cui necessita.
Come si forma un corallo?
Sono sicura che un sacco di voi si stanno chiedendo come fanno quei piccoli polipetti a formarsi lo scheletro calcareo. Beh, possiamo riassumere la risposta con una reazione chimica: la calcificazione.
L’anidride carbonica prodotta dai polipi reagisce con l’acqua formando acido carbonico:
CO2 + H2O -> H2CO3
L’acido carbonico reagisce a sua volta con il calcio che si trova nel mare:
H2CO3 + Ca2+ -> CaCO3 + CO2 + H2O
E così quello che otteniamo è carbonato di calcio. Il carbonato di calcio insolubile si deposita formando lo scheletro dei coralli. La forma minerale del carbonato di calcio prende il nome di aragonite.
Il tasso di deposizione dell’aragonite è ai massimi livelli con una temperatura che si aggira tra i 26 e 28 gradi. Possiamo quindi dire che i coralli sono molto sensibili alle variazioni climatiche.
Ma quindi a cos’è dovuto lo sbiancamento dei coralli?
Di per se, lo scheletro di aragonite, è bianco, ma, come dicevamo prima, la colorazione viene dalla simbiosi con le Zooxanthellae. In particolari condizioni, come ad esempio temperature troppo elevate, queste vengono espulse dal corallo.
Ah okay, quindi i polipi stanno bene. Beh, mica tanto: abbiamo detto che le Zooxanthellae forniscono all’incirca il 90% dell’energia metabolica. Insomma: senza le Zooxanthellae i coralli fanno un po’ la fame.
È comunque scorretto dire, come sottolinea il sito ufficiale del Parco Marino della Grande Barriera Corallina, che la Grande Barriera è morta a causa dello sbiancamento. Non stiamo parlando di un singolo individuo ma di un intero ecosistema, se viene a mancare una parte di esso tutto il resto ne subisce delle conseguenze.
Perché le scogliere coralline sono così importanti?
Le scogliere coralline sono tra gli ambienti più ricchi e biodiversi del pianeta. Rivestono, quindi, un ruolo importante dal punto di vista biologico. Hanno anche un ruolo importante dal punto di vista economico essendo, ogni anno, fonte di turismo. E come se non bastasse, dalle scogliere coralline è possibile ottenere molecole come la trabectedina (ET-743) che ha proprietà anti-tumorali e viene ricavata da un’ascidia: Ecteinascidia turbinata.
Quindi è più che nel nostro interesse cercare di preservare questo ecosistema.
Cosa possiamo fare?
C’è una possibilità di recupero introducendo nuove larve, ma il problema dell’innalzamento delle temperature è qualcosa con cui la nostra società deve continuamente fare i conti.
Si è osservato che i coralli, da parte loro, stanno cercando di adattarsi al cambiamento climatico, ma non abbastanza velocemente. In realtà, più che dal corallo di per sé, la tolleranza alla temperatura dipende principalmente delle alghe con cui fa simbiosi. Alcuni scienziati australiani, come riporta Science Advances, hanno deciso di dare una piccola spinta all’evoluzione e hanno modificato in laboratorio le Zooxanthellae in modo che resistano di più alle alte temperature.
Nel mentre che gli scienziati provano a trovare una soluzione nei laboratori, noi possiamo continuare a tenerci informati sugli sviluppi e capire fino in fondo quanto questo problema sia reale. Per questo vi consigliamo la visione di uno stupefacente documentario: Chasing coral su Netflix (preparate i fazzoletti prima di vederlo).
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