Ma cosa lo faccio a fare? È questa la solita domanda che ci si pone davanti nel momento in cui cerchiamo di ridurre il nostro impatto ambientale. Perché si, ammettiamolo, a volte ci risulta difficile credere che possiamo davvero cambiare le cose. Ecco, la prima volta in cui questo quesito ha iniziato a frugarmi nel cervello è stato in Brasile. Mi trovavo in sud America per un’esperienza di volontariato nelle favelas di Rio de Janeiro. Qui l’acqua, più che da fiumi, sembra provenire da enormi canali di scolo sovrastati da immondizia di ogni genere: plastica, lattine, vetro e pure qualche capibara costretto a dormire con i suoi cuccioli in una tana fatta di spazzatura.

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Attraversamento di un fiume che divideva la favela di Ginebaù, Brasile.

In Brasile ho avuto modo di riflettere su quanto spesso mi considero un eroe solo perché riesco ad azzeccare la divisione dei rifiuti nella raccolta differenziata. Quando è evidente che, finché la maggior parte delle persone vive ancora in condizioni in cui i fiumi sono ridotti in questo modo, sarà difficile cambiare il destino della terra. A questo pensiero pessimistico, mi viene in aiuto la frase di un mio compagno di viaggio, presa in prestito da un vangelo, che dice:

“A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto”.

Essere parte del primo mondo ci rende, si persone fortunate, ma ci carica anche di una grande responsabilità: quella di essere rispettosi di tutto quello che c’è stato affidato. E se non lo facciamo noi, che ne abbiamo la possibilità, nessuno lo farà al posto nostro. Perciò prendiamoci cura del pianeta perché solo così, attraverso gesti che riteniamo insignificanti, potremmo essere il prototipo dell’eroe moderno.

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Ginebaù, Brasile.