Quando da bambini la maestra vi chiedeva cosa avreste voluto fare da grandi, cosa rispondevate? L’astronauta, la ballerina, il pompiere, la dottoressa, il benzinaio. Io ero più audace e alla domanda della maestra, io rispondevo: l’architetto! Oggi, guardando indietro, non posso far altro che sorridere per quel mio insolito desiderio infantile: mai più, infatti, ho pensato che fare l’architetto sarebbe stato il lavoro dei miei sogni. Ma lasciando perdere questa parentesi nostalgica, c’è un lavoro che nessun bambino si sognerebbe mai di annoverare tra i propri lavori da sogno: il ricercatore.
La leggenda del ricercatore
Il ricercatore è una figura quasi leggendaria. O meglio, nel mondo accademico, i ricercatori sono la norma, niente di eccezionale. Lo stupore viene al di fuori di quell’universo parallelo che è l’università. In realtà, dei ricercatori si sente spesso parlare in tv: “ricercatore italiano emigra in Svizzera”, “cervelli in fuga verso l’America”, “non ci sono fondi per la ricerca”… I telegiornali, a periodi alterni, sono un tripudio di notizie che trattano la criticità della situazione della ricerca scientifica in Italia. Ma quindi, chi sono i ricercatori?
L’identikit
Il ricercatore è colui che, giunto alla laurea magistrale, ha deciso di proseguire il proprio percorso accademico intraprendendo la via del dottorato. Il dottorato di ricerca, infatti, è a tutti gli effetti un periodo di studio di durata variabile (di solito dura 3-5 anni), che permette allo studente di acquisire un’esperienza in laboratorio non indifferente e che lo porta a diventare un vero e proprio ricercatore. Al termine del dottorato, infatti, lo studente avrà in mano il più alto titolo accademico al momento riconosciuto dal nostro Paese (e da molti Paesi nel mondo). E poi? E poi, come diceva Giorgia, poi sarà come morire. In Italia, infatti, il ricercatore che non sia raccomandato o estremamente fortunato (va beh, aggiungiamo anche estremamente bravo, ma questo è un requisito necessario, ma non sufficiente), non riuscirà a trovare nessun lavoro dignitoso. Nessun lavoro in cui la paga sia proporzionale agli anni trascorsi sui libri e in laboratorio. Nessun lavoro in cui si abbiano delle reali possibilità di fare carriera e di inseguire le proprie ambizioni.
Alla fine, quindi, il ricercatore emigrerà, lascerà l’Italia. E con lui, il nostro futuro.
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