Ogni giorno ci svegliamo, apriamo gli occhi e vediamo: colori, oggetti, forme. Sembra banale, ma non lo è affatto. Il fenomeno della visione è estremamente complesso e variegato. Quello che a noi sembra un avvenimento immediato è invece frutto di una lunghissima serie di eventi concatenati. In questo articolo esploreremo brevemente l’aspetto fotochimico: l’assorbimento della luce da parte della retina.

La struttura dell’occhio

All’interno dell’occhio sono contenute componenti foto-attive (ossia attivabili mediante luce), dette fotorecettori. Sono neuroni localizzati sulla retina, membrana più interna del bulbo oculare e sono di due tipi: coni e bastoncelli. I primi sono responsabili della visione a colori, difatti contengono tre proteine, dette opsine, sensibili a tre diverse lunghezze d’onda. Esse sono responsabili, a seguito delle reazioni chimiche spiegate successivamente, della percezione dei tre colori fondamentali: blu, verde e rosso. I bastoncelli invece intervengono nella visione notturna.

Prima di arrivare alla retina, la luce attraversa la cornea, dove subisce una prima messa a fuoco, poi la pupilla, la quale si dilata o contrae a seconda dell’intensità luminosa e infine il cristallino, dove si ha un’ultima messa a fuoco prima della retina. Tutte queste componenti, che agiscono da vere e proprie lenti naturali, sono trasparenti alla luce visibile. Il dischetto colorato intorno alla pupilla si chiama iride e agisce come il diaframma di una macchina fotografica: regola l’esposizone proteggendo le componenti interne del nostro occhio da un’intensità luminosa troppo elevata.

Figura 1. Struttura interna dell’occhio

La (foto)chimica della visione

La rodopsina, la cui struttura cristallografica è disponibile qui, è una proteina di membrana contenuta nei fotorecettori ed è responsabile dell’assorbimento dei fotoni. Questa è composta da una componente proteica detta opsina e una piccola molecola detta retinale. Da quest’ultima parte un velocissimo e complicato processo a cascata che porta alla visione. Si tratta di una molecola con una forma ad L, che è in grado di modificare la sua disposizione nello spazio semplicemente quando colpita da fotoni luminosi (la luce). Appena è colpita da un fotone, si riarrangia (si chiama isomerizzazione cis-trans, la quale avviene sugli atomi di carbonio 11 e 12, vedi figura 2) e assume una forma più rettilinea. Si chiama ora retinolo (o vitamina A).

La proteina a cui è attaccata non è più in grado di gestire una forma così ingombrante, e come tale la espelle (un legame chimico è rotto). Il processo è ciclico: questa molecola è poi immediatamente riconvertita in retinale ed è nuovamente pronta per un nuovo ciclo. Questo appena descritto è il principale, ma non unico, processo fotochimico coinvolto nella visione. L’intera struttura proteica subisce anche dei riarrangiamenti strutturali e conformazionali nei cui dettagli non entreremo.

Questo avvenimento permette l’accumulo di una certa quantità di energia pari all’incirca a quella del fotone incidente. Inizia così un processo a cascata, il segnale luminoso in entrata dalla retina è convertito in segnale elettrico, il quale è poi trasferito attraverso il nervo ottico ai neuroni, dove è elaborato e decodificato in un colore, quello che percepiamo con l’occhio.

rodopsina - retinolo
Figura 2. La (foto)chimica della visione: 1. assorbimento di un fotone da parte della rodopsina, 2. riarrangiamento spaziale (isomerizzazione cis-trans), 3. rottura di un legame chimico, accumulo di potenziale elettrochimico ed espulsione di 11-trans-retinolo, 4. riconversione in 11-cis-retinale e inizio di un nuovo ciclo

In quanto tempo avviene?

I ricercatori, sperimentali e teorici, hanno trovato una risposta a ciò usando due approcci:

1. metodi di calcolo computazionale, che tengono conto contemporaneamente di fenomeni newtoniani e quantistici (metodi che si basano sugli studi pioneristici negli anni ’70 di Martin Karplus, Michael Levitt e Arieh Warshel, premi Nobel per la chimica nel 2013);

2. tecniche spettroscopiche avanzate come la spettroscopia ottica ultrarapida, in grado di studiare fenomeni con intervalli temporali estremamente brevi. Con il termine breve non mi riferisco ai millisecondi, e neanche ai nanosecondi, bensì ai femtosecondi!

“Visualizzare” un femtosecondo

Un femtosecondo equivale a 0,000000000000001 secondi (10-15 secondi), cioè un milionesimo di miliardesimo di secondo (o un biliardesimo di secondo). Queste unità di misura confondono pure me che scrivo. Credo che sia impossibile da immaginare. Vi basti sapere che in un femtosecondo, la luce, la cui velocità è pari a 300 milioni di metri al secondo, percorre 0,3 micrometri. Un micrometro è un milionesimo di metro, e per darvi un’ulteriore idea, un capello umano ha un diametro di circa 70 micrometri.

Il fenomeno della visione descritto poc’anzi avviene in 75 femtosecondi. Quello che a noi sembra un avvenimento normalissimo e banale, ossia la percezione di un colore o di un’immagine, è in realtà un insieme di miliardi e miliardi di stimolazioni del nervo ottico.

Ora immagina di chiudere gli occhi, di aprirli per un secondo e di richiuderli. In quel breve arco di tempo sei riuscito a vedere diverse cose: lo schermo del pc, lo smartphone, la scrivania, i colori, le immagini e le parole di questa pagina web, le tue mani, un bracciale o un anello. In questo secondo sono avvenute 13.300.000.000.000 (più di 13 bilioni o più di 13 mila miliardi) ripetizioni di questo medesimo processo.

Il nostro occhio in ogni istante è costantemente e ininterrottamente colpito da miliardi e miliardi e miliardi e miliardi di fotoni che ci permettono di vedere e di percepire il mondo attorno a noi. Tutto questo la Natura l’ha creato milioni di anni fa, e noi ne abbiamo appena scalfito la superficie della comprensione.

Fonti:
Balzani V. et a., “Photochemistry and Photophysics”, 2014
Polli D. et al., “Conical intersection dynamics of the primary photoisomerization event in vision”, Nature, 2010