Il cioccolato, un meraviglioso prodotto che fa venire l’acquolina in bocca solamente a nominarlo.
La produzione di una semplice barretta di cioccolato nasconde in realtà una conoscenza chimico-fisica e tecnologica molto avanzata.
La storia del cioccolato è molto antica e le prime tracce risalgono agli Olmechi, un’antica civilità precolombiana che visse circa 3500 anni fa. Furono però i Maya a dare vita alla prima piantagione di Theobroma Cacao (dal greco theos = dio e broma = cibo, quindi “cibo degli dei”), da cui nascono le fave di cacao, e fu Colombo ad esportare questa ricchezza nel continente europeo. Quella che possiamo considerare la prima e vera barretta di cioccolato arrivò solo nella seconda metà del XIX secolo con Herr Heinrich Nestlé.
Esistono tre sottotipi di fave di cacao: criollo, forastero e trinitario. Il criollo è la varietà più pregiata ma anche la più delicata e il forastero è il più comune e più semplice da coltivare. Il trinitario è una via di mezzo tra le due, conserva l’aroma forte e il sapore deciso del criollo e l’adattabilità del forastero.
Ma dalla pianta alla barretta di cioccolato, la strada è lunga e tortuosa, esploriamola insieme.

IL PROCESSO PRODUTTIVO
Dalla pianta si sviluppa il frutto, detto cabossa, al cui interno sono contenuti circa 30 – 40 semi (o più correttamente fave) di cacao. Questi ultimi sono raccolti, generalmente a mano, e depositati in contenitori di legno a fermentare per circa una settimana. Durante la fermentazione si sviluppano tutta una serie di precursori che si trasformeranno poi nei componenti responsabili dell’aroma e del sapore del cioccolato. Le fave fermentate sono successivamente sottoposte ad essiccazione al sole per rimuovere l’umidità e per ridurre l’eventualità di sviluppo di muffe. Questa fase può durare fino a due settimane. Sono così pronte per l’esportazione verso i produttori.
Inizia in seguito l’importantissima fase di torrefazione (o tostatura), che dura dai 70 ai 120 minuti a circa 100°C. Si sviluppano qui, mediante la reazione chimica di Maillard (tipica della cottura dei cibi), tutti gli aromi e i profumi tipici del cioccolato. Segue poi un lungo processo di decorticazione e di degerminazione mediante macchinari appositi per recuperare il corpo della fava, detto cotiledone, il quale è poi macinato fra cilindri caldi. Durante questo processo, la componente grassa, superiore al 50% in massa, si fonde, divenendo una sostanza bruna e viscosa, detta liquore di cacao (non contiene alcool però). Questa massa liquida calda è sottoposta ad elevate pressioni (circa 400 – 500 atmosfere), portando alla separazione della parte grassa (il burro di cacao) e della parte secca (il pannello di cacao, da cui si ottiene il cacao in polvere).
E qui si giunge alla seconda fase di lavorazione del cioccolato, ossia la raffinazione, da cui nascono gli infiniti tipi di cioccolato (bianco, al latte, fondente, gianduia, …). Ma non pensate sia ancora finita, perché una volta scelta la ricetta (quantità di burro di cacao, latte e altri additivi), bisogna sottoporre l’impasto ad un’ulteriore raffinazione. Questo è polverizzato fra rulli fino ad ottenere particelle di massa grassa molto piccole, intorno ai 20 micrometri (0.02 millimetri) di diametro. Si ottengono così particelle in grado di dare ottime sensazioni di morbidezza sul palato.
Segue ora la fase di amalgamazione (detta concaggio), introdotta nel 1879 da Monsieur Rodolphe Lindt. Può essere molto lunga, dalle 72 alle 96 ore, ed è durante questo processo di mescolamento a temperatura controllata (dai 40 agli 80°C a seconda del prodotto desiderato) che avvengono cambiamenti strutturali, inoltre si sviluppano ulteriori aromi tipici del prodotto finale. Il risultato è un liquido meravigliosamente setoso e vellutato, che possiamo definire già cioccolato.
Si termina il processo con il temperaggio, ovvero una serie di cicli di riscaldamento e raffreddamento a basse temperature (tra i 26°C e i 36°C). A questo punto la pasta fluida viene colata all’interno di stampi raffreddati, dando vita alla nostra amata barretta di cioccolato.

COSA LO RENDE COSÌ DELIZIOSO?
Il cioccolato (o per la precisione, i trigliceridi contenuti) è polimorfo, ossia può cristallizzare con diverse strutture cristalline, denominate con le seguenti lettere greche, dalla più bassofondente alla più altofondente: γ (che fonde tra i 16°C e i 18°C), α, β2’, β1’, β2 e β1 (quest’ultima fonde tra i 34 e i 36°C). L’obiettivo del temperaggio è ottenere quest’ultima forma cristallina (β1), che è quella che fonde a temperatura corporea e che rende il cioccolato così delizioso.

Come avrete potuto capire, la produzione del cioccolato è un processo laborioso ed estremamente delicato. Inoltre, l’aroma, il sapore e la percezione al palato sono determinati da una miriade di molecole.
Al momento ne sono state identificate all’incirca 400, tra cui idrocarburi (grassi), alcoli, esteri, aldeidi, chetoni, polifenoli (antiossidanti naturali) e altri. Tra tutte, è presente la teobromina, uno stimolante spesso confuso con la caffeina. Una normale porzione di cioccolato fondente (circa 30 grammi) contiene 200 milligrammi di teobromina. Questa quantità è sufficiente per esercitare la sua attività psicofarmacologica, agendo sul rilascio di endorfine, le quali sono responsabili di un netto miglioramento dell’umore.
Possiamo concludere confermando la seguente equazione:
cioccolato = felicità.
Al seguente link, un interessante video di approfondimento sulla produzione artigianale del cioccolato (nel caso in cui qualcuno di voi volesse cimentarsi):
Se vuoi saperne di più sul mondo del cioccolato, ti consiglio il seguente ebook: “Il cioccolato: scienza, storia e curiosità” di Gianluigi Storto, chimico e divulgatore italiano.

Fonti:
G. Tannenbaum – Journal of Chemical Education, 2004
T.-A.L.Do, LWT – Food Science and Technology, 2011 (immagine SEM)
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