In passato lo studio dell’anatomia e fisiologia del sistema nervoso era limitato all’ambito neuromuscolare. Con la nascita delle neuroscienze la ricerca si è evoluta al punto di poter capire cosa determina un certo comportamento e la motivazione per cui si assume.
Il concetto di plasticità
Il concetto di cervello “statico” senza crescita dopo l’adolescenza, è oramai obsoleto. In effetti la proprietà ad oggi più nota è la plasticità cerebrale. Quando si parla di plasticità ci si riferisce alla particolare proprietà che i tessuti organici hanno, di modificarsi in seguito ad esperienze nuove.
Le modifiche possono essere sia strutturali che funzionali. Nel primo caso ci si riferisce ai tutti quei fenomeni che modificano le reti neuronali o che sono coinvolti nella neurogenesi stessa. Per questa ragione la plasticità è la proprietà neurobiologica alla base della memoria ed apprendimento. Tra gli eventi di plasticità sinaptica vi sono l’aumento o riduzione della forza di trasmissione di una sinapsi. Questi prendono il nome di potenziamento a lungo termine (LTP) o depressione a lungo termine (LTD).
Il lavoro di Donald Hebb
Lo psicologo Donald Hebb dedicò parte dei suoi studi alla fisiologia del sistema nervoso correlata al comportamento umano. Non era chiaro infatti come il cervello potesse dare una risposta dopo uno stimolo. Egli pubblicò “The organization of behavior”, una pietra miliare per la ricerca neuroscientifica nel 1949. Per risolvere il dogma stimolo-risposta, Hebb introdusse la cosiddetta regola di Hebb che diede vita all’apprendimento hebbiano. Egli affermò:
se un neurone A è abbastanza vicino ad un neurone B da contribuire ripetutamente e in maniera duratura alla sua eccitazione, allora ha luogo in entrambi i neuroni un processo di crescita o di cambiamento metabolico tale per cui l’efficacia di A nell’eccitare B viene accresciuta
Più semplicemente questa regola stabilisce che due neuroni che si eccitano assieme si potenziano reciprocamente:
What fires together, wires togheter
Uno strumento terapeutico
Questo fenomeno è alla base di molte terapie non farmacologiche. Esse si basano infatti su attività ripetute ciclicamente volte a stimolare il cervello e la suddetta plasticità.
Vi è in questo periodo una sorta di “rivoluzione” nella percezione di salute cognitiva. Numerosi neuroscienziati in vari istituti nel mondo stanno cominciando a considerare terapie alternative non invasive per curare una serie di problemi cognitivi. I programmi che fanno leva sulla neuroplasticità possono quindi aiutare pazienti schizofrenici, con demenza senile o malati di Alzheimer.
Tuttavia la strada è ancora lunga per potersi affidare del tutto a questa proprietà. Il principale problema consiste nel fatto che questo tipo di lesioni neurologiche portano alla totale perdita dell’inibizione e del controllo.
Questi fattori impediscono al sistema nervoso di riapprendere perché ad ogni tentativo di movimento ci troviamo a combattere con una serie di reazioni incontrollate.La conoscenza e il controllo di questi problemi uniti ad esercizi studiati appositamente per stimolare i centri nervosi danneggiati sono la ricetta che può garantire un recupero qualitativamente soddisfacente.
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