Nel pieno dell’emergenza COVID-19, uno dei temi che più spesso è stato al centro dell’attenzione riguarda lo sviluppo di nuovi farmaci o di un vaccino contro il virus SARS-CoV-2.
Ma come si sviluppano dei nuovi farmaci? Il processo prevede una serie di step obbligatori; la durata di questi step spesso è variabile e dipende in primis da due fattori: quanto denaro si investe per lo sviluppo del farmaco e se i risultati ottenuti sono positivi o meno. Gli step possono essere suddivisi in tre fasi.
La fase preclinica
La prima fase è definita fase preclinica. In questa fase si identifica innanzitutto il bersaglio contro cui il farmaco dovrà agire (ad esempio può essere una proteina espressa da una cellula tumorale nel caso si voglia sviluppare un antitumorale); in partenza, le possibili molecole capaci di interagire con tale bersaglio possono essere anche diverse migliaia, ma fra queste deve esserci una selezione. Da un numero così alto di molecole, tramite studi prima in provetta e poi eventualmente in vivo su modelli animali, la maggior parte viene scartata salvo alcune unità (spesso solo uno o due) che interagiscono meglio con il bersaglio e che inducono l’effetto desiderato. Questa fase può durare fino a 6-7 anni, ma in alcuni casi può essere accelerata e ridotta a pochi mesi, soprattutto perché di solito non richiede grosse risorse economiche.
La fase clinica
La seconda fase è invece la fase clinica, meglio nota come “sperimentazione umana“. E’ la fase più delicata, perché necessita di importanti investimenti da parte delle aziende farmaceutiche, che si occuperanno sia degli esperimenti che, eventualmente, della messa in commercio. I primi soggetti tuttavia non sono pazienti malati, bensì volontari sani; all’inizio infatti bisogna capire se il farmaco causa effetti indesiderati e a quali dosi. Reperire volontari sani è un problema qui in Italia, poiché non ricevono alcun compenso economico (vietato per legge). Gli unici farmaci testati fin da subito sui pazienti sono gli antitumorali, gli antivirali e gli immunosoppressori; per tutti gli altri, il test sui malati subentra non appena viene garantita la loro sicurezza; si procede quindi a valutarne anche l’efficacia, ovvero se riescono a curare la patologia. E’ il momento più delicato dell’intero processo; se il farmaco funziona, l’azienda investitrice potrà metterlo in commercio; se ciò non accade però, il progetto comunque non viene abbandonato; ogni informazione ottenuta durante lo sviluppo potrà essere utilizzata per sviluppare altri farmaci o per modificare quelli già testati.
La farmacovigilanza
Dall’idea di una nuova molecola al momento in cui questa diviene prescrivibile possono trascorrere anche 15-20 anni, ma non finisce lì. Una volta commercializzato, il farmaco va incontro alla fase di farmacovigilanza; un apposito gruppo di ricercatori si occupa di raccogliere e segnalare eventuali effetti collaterali non riscontrati durante lo sviluppo. Come mai non si riscontrano? Perché nelle fasi di sviluppo, il numero di soggetti sottoposti al trattamento è piuttosto ridotto (poche decine di volontari sani, alcune centinaia o migliaia di pazienti malati), di conseguenza estendendo il campione all’intera popolazione, aumenta anche la possibilità di registrare fenomeni rari o non approfonditi; ad esempio, si possono rilevare reazioni avverse con altri farmaci. Tutto ciò che appare nel corso di questa fase va ad arricchire l’elenco dei possibili effetti indesiderati che troviamo in qualsiasi bugiardino.
Per concludere…
L’iter da seguire non è sempre lo stesso, infatti varia da farmaco a farmaco; tuttavia le linee generali appena descritte si adattano a ciascun caso, e risultano necessarie per garantire l’efficacia e la sicurezza a chi usufruirà del farmaco; possono variare le tempistiche, ma nessuno degli step è superfluo o può essere tralasciato, perché nella ricerca scientifica non esiste mai nulla di certo.
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